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Il padre di famiglia di Antonino Varvarà

Presentato l'8 maggio 2008, con successo al Teatro Fedele Fenaroli Il padre di famiglia di Carlo Goldoni, nell'allestimento di Antonino Varvarà.

Ieri sera ho passato una serata godibilissima grazie a questo adattamento di Antonino Varvarà di una commedia o meglio tragi-commedia tratta da Goldoni più precisamente da Il padre di famiglia e Il giuocatore. L’unico neo è da attribuire alla esigua presenza di pubblico ma mi viene facile la battuta: pochi ma buoni.

Il fatto che Goldoni possa essere considerato il padre del teatro moderno italiano è fuori di dubbio e che sia sempre attuale è poco ma sicuro. Antonino Varvarà, con la sua rilettura ha messo il dito proprio su quest'aspetto. La vicenda è valida tanto che sia ambientata nel ‘800, che nell’epoca fascista (usata dall’autore) che nei nostri giorni.

La figura centrale, il padre censore, moralista, borghese e tradizionalista viene in questa rappresentazione ammantato dei panni del fascista. Non il violento o il guerrafondaio, ma il conservatore integrato nel sistema che crede nella severità e nella disciplina come se fossero virtù prodigiose. L’ultima battuta della rappresentazione, con la voce di Mussolini proveniente da una vecchia radio, racchiude il senso dell’opera intera e del compito di un padre del genere: “la dichiarazione di guerra è stata consegnata ……… e una sola parola è d’obbligo: Vincere. E vinceremo.” Spesso l’attore (bravissimo) nell’esprimersi fa il verso a Mussolini strappando applausi e risate. Molte sono le battute da incorniciare e ricordare, dove usa superlativi, ad esempio definisce il figlio “indegnissimo” o dice alla figlia putativa: “per una donna confidenza è uguale a insolenza” oppure ancora “la donna che sposerà mio figlio deve essere docile e rassegnata”.

Non meno importanti sono le figure dei due figli e della seconda moglie, madre del solo secondo figlio. L'adattamento grazie alla felice fusione delle due commedia goldoniane: Il padre di famiglia e Il giuocatore, da spessore agli altri personaggi. Il pastiche riesce, perché Goldoni - che è sempre Goldoni - risulta qui amplificato all'ennesima potenza. La composizione rende ancora più evidenti quali siano gli stratagemmi adottati dal commediografo per far risaltare il vizio e convertire alla retta via un figlio che ha preso una via sbagliata. Quella di Varvarà è soprattutto un'operazione narratologica: dal teatro si esce avendo pensato a qualcosa in più su Goldoni e forse, finalmente, anche a qualcosa di diverso. Molto bravi gli attori che impersonano i figli, in particolare Vittorio (un nome, un programma), il figlio minore, coccolone della mamma, dissennato, vuoto di valori e perdente nel rapporto padre-figlio che entra nella parte in un modo straordinario. Anche la recitazione delle due attrici che interpretano la parte delle figlie putative lasciano il segno.

La pièce non risulta intellettualistica, alcuni accorgimenti della scenografia ed ottimi costumi contribuiscono alla resa di un clima pienamente comico, quasi da varietà, strappando risa e applausi ma anche delle riflessioni sul mondo d’oggi, sui valori della famiglia e sul tempo che passa ma non perde mai i paletti e le coordinate di una società che cambia e muta ma mai completamente. I cambi di scena e di atto sono scanditi dalle canzonette dell'Italietta diffuse nella sala da un grammofono che si accende con l'accadere di un cambio scenico. Quelle stesse canzonette, a differenza di qualsiasi altro orpello scenico, ci trasportano in una epoca tanto lontana quanto attuale.

Un plauso va alla organizzazione dei Teatri Randagi, in particolare alla persona di Stefano Angelucci Marino che porta nella nostra cittadina opere e rappresentazioni del genere mantenendo vivo lo spirito culturale ed intellettuale del nostro Teatro Comunale.

Crasso (lanciano.it)
Ultima modifica ilLunedì, 03 Novembre 2008 00:14

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