Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino
- Scritto da Federico Morena
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Con il titolo “Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino” Giuseppe Ayala dà nome al suo spettacolo, riprendendo le parole che furono di Paolo Borsellino (“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”);
improprio chiamarlo spettacolo, come ha ribadito il magistrato nell\\\'incontro coi ragazzi, poiché si tratta di una trasposizione teatrale di un suo libro dal titolo omonimo.
A far cornice alla rappresentazione, una scarna ma altrettanto valida ed affascinante scenografia dominata da un albero di magnolia (come quello che si trova a Palermo sotto la casa di Giovanni Falcone), già di per sé simbolo del tema trattato.
A dividere il palco in più parti sono invece tre gruppi di sedie, muovendosi tra i quali il magistrato scandisce i diversi momenti del suo monologo.
È invece un contributo video sulla Strage di Capaci a fare da introduzione a quelli che poi saranno i temi della recitazione: le figure dei due eroi antimafia e il loro rapporto con Ayala, e il Maxiprocesso a Cosa Nostra di Palermo.
Uno spettacolo toccante e al tempo stesso commovente nel senso più sentito del termine, perchè attraverso le parole del giudice, scandite con oculata precisione, lo spettatore riesce a rivivere i fatti come se fosse presente nelle azioni narrate, come se fosse un diretto testimone dei processi e delle vite dei magistrati-eroi e come se avesse partecipato in prima persona alle loro vicende personali.
È forse proprio questo il pregio maggiore della rappresentazione: riuscire ad essere coinvolgente nel farci conoscere il lato privato e intimo delle vite di Falcone e Borsellino, mai esplorato a fondo perchè solitamente non preferito alla sola commemorazione delle loro tragedie.
Ayala, con i suoi racconti e con i suoi aneddoti sembra ribadire insistentemente come loro fossero uomini più valorosi di altri, ma in fondo, intimamente, uomini come tutti gli altri, con tutte le loro paure, i loro difetti e le loro speranze.
Emblematica a tal punto la frase “ridevamo per non piangere”, riferimento all\\\'inaspettata ironia dei giudici, come emblematici sono i racconti di alcuni comportamenti di Falcone al limite del grottesco oppure quelli intimi del rapporto di coppia tra quest\\\'ultimo e sua moglie.
Dunque, più che uno spettacolo, una vera e propria lezione di vita, di cui Giuseppe Ayala, con la sua dolce inflessione siciliana, anche grazie all\\\'ausilio di contributi video e alla partecipazione della brava Francesca Ceci, si fa portavoce.
improprio chiamarlo spettacolo, come ha ribadito il magistrato nell\\\'incontro coi ragazzi, poiché si tratta di una trasposizione teatrale di un suo libro dal titolo omonimo.
A far cornice alla rappresentazione, una scarna ma altrettanto valida ed affascinante scenografia dominata da un albero di magnolia (come quello che si trova a Palermo sotto la casa di Giovanni Falcone), già di per sé simbolo del tema trattato.
A dividere il palco in più parti sono invece tre gruppi di sedie, muovendosi tra i quali il magistrato scandisce i diversi momenti del suo monologo.
È invece un contributo video sulla Strage di Capaci a fare da introduzione a quelli che poi saranno i temi della recitazione: le figure dei due eroi antimafia e il loro rapporto con Ayala, e il Maxiprocesso a Cosa Nostra di Palermo.
Uno spettacolo toccante e al tempo stesso commovente nel senso più sentito del termine, perchè attraverso le parole del giudice, scandite con oculata precisione, lo spettatore riesce a rivivere i fatti come se fosse presente nelle azioni narrate, come se fosse un diretto testimone dei processi e delle vite dei magistrati-eroi e come se avesse partecipato in prima persona alle loro vicende personali.
È forse proprio questo il pregio maggiore della rappresentazione: riuscire ad essere coinvolgente nel farci conoscere il lato privato e intimo delle vite di Falcone e Borsellino, mai esplorato a fondo perchè solitamente non preferito alla sola commemorazione delle loro tragedie.
Ayala, con i suoi racconti e con i suoi aneddoti sembra ribadire insistentemente come loro fossero uomini più valorosi di altri, ma in fondo, intimamente, uomini come tutti gli altri, con tutte le loro paure, i loro difetti e le loro speranze.
Emblematica a tal punto la frase “ridevamo per non piangere”, riferimento all\\\'inaspettata ironia dei giudici, come emblematici sono i racconti di alcuni comportamenti di Falcone al limite del grottesco oppure quelli intimi del rapporto di coppia tra quest\\\'ultimo e sua moglie.
Dunque, più che uno spettacolo, una vera e propria lezione di vita, di cui Giuseppe Ayala, con la sua dolce inflessione siciliana, anche grazie all\\\'ausilio di contributi video e alla partecipazione della brava Francesca Ceci, si fa portavoce.
Ultima modifica ilVenerdì, 17 Febbraio 2012 15:57