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A CHE SERVONO QUESTI QUATTRINI

A CHE SERVONO QUESTI QUATTRINI- RECENSIONE
Il “Teatro De Filippo” è ormai una tradizione di famiglia; esso ci racconta la vita di casa e quella in società, in modo che il pubblico ha la possibilità di riconoscere stereotipi di persone che conosce bene, ed è in grado di cogliere la sottile critica mossa verso un modello familiare e sociale non troppo diverso da quello attuale. Il Teatro, quell’enorme bugia che ci fa sognare, travisatore di realtà e mezzo per riportarla al pubblico mediata dalla sensibilità dell’artista, viene così descritto dal grande maestro Luigi De Filippo sognante, ed oggi è in crisi: l’avvento dei musical ha ormai scavalcato la prosa e i personaggi sempre più televisivi non sono in grado di eguagliare i grandi attori di prosa del passato. Tuttavia la vera protagonista del “Teatro De Filippo” è la bella Napoli, contraddistinta da un meraviglioso dialetto, indissolubilmente legato alle commedie poiché, come dice “il Maestro”, togliere la lingua alle commedie è un vero e proprio delitto .
A CHE SERVONO QUESTI QUATTRINI non è altro che il palesarsi di un grande paradosso della vita: spesso nella società è più importante apparire che essere, come si dice, anche se in realtà ognuno appare diverso da quello che è. La storia racconta del giovane Vincenzino che abbandona il lavoro e le fatiche di ogni genere in seguito agli insegnamenti e alle teorie di un “filosofo di strada”, brillantemente interpretato dal mitico Luigi De Filippo nonostante i pesanti 81 anni sulle spalle; l’acquisizione di una finta eredità da parte di Vincenzino lo farà credere ricco agli occhi del paese e tutta la sua vita, e quella di sua zia Carmela, prenderanno una piega inaspettata. Un’esilarante commedia contornata da tantissimi personaggi unici e stravaganti che esasperano gli stereotipi della borghesia napoletana, mai in quiete nelle caotiche scene della commedia; una perfetta miscela di comune ignoranza popolare e citazioni colte o brillanti perle di saggezza sulla vita come quella confidata dal “Maestro” nell’epilogo finale che riassume tutto il senso della commedia: “come nel Poker, la vita è un fantastico bluff; per vincere non servono quattro assi, bensì quattro carte qualsiasi.”
Stefania Blasioli IA “Liceo classico Vittorio Emanuele II” Lanciano
Ultima modifica ilLunedì, 23 Aprile 2012 10:00

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