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LA PURGA

LA PURGA
La Purga: un titolo emblematico è ciò che apre il sipario su molto più di un’esilarante commedia di Feydeau; il celebre scrittore francese, grande anticipatore della’commedia all’italiana’ degli anni ’70-’80, è maestro di commedie brillanti, proprie di uno spiccato senso del ritmo, giocate su equivoci, tradimenti, incidenti e incompiutezze, aggrappati a meccanismi sapientemente costruiti che possono dirsi frutti della follia, che guidò l’autore fino alla morte. La vicenda si costruisce su due plot. La prima storia narra di un industriale, costruttore di sanitari, che entra in rapporti con un importante funzionario del Ministero della difesa, responsabile di una commissione d’appalto per la distribuzione di vasi da notte nell’esercito, sanitari contraddistinti da una paradossale porcellana infrangibile, un’ossimorica invenzione basata sull’assurdo. Questa prima situazione viene letteralmente inghiottita da una seconda, che ruota attorno alla vita familiare del commerciante, e che ne vede al centro un’unica questione: Totò, il bambino, deve essere purgato. Nella commedia emerge lentamente un’idea criminale della famiglia che prende vita in un ambiente terribilmente cinico; il più lampante paradosso è probabilmente il bambino Totò, un bimbo cattivo, dispettoso, indifferente ad ogni qualche sentimento dei genitori. Totò viene interpretato da un adulto, privando il personaggio di tutta la sua già remota innocenza e creando un bimbo-mostro, tuttavia non meno mostro dei suoi genitori, iperprotettivi ma, ciò nonostante, non realmente interessati al piccolo. Un complesso castello di carte anima i personaggi strambi, ridicoli, contraddittori, privi di pudore e caratterizzati dal gioco dell’assurdo; all’apice troviamo un funzionario che, pur basando la sua vita sulla guerra, non ha mai vissuto l’esperienza militare, e una moglie, colpita da una malattia che favorisce anche in questo caso un rapporto conflittuale con il basso ventre. Al tutto si aggiunge la crisi del matrimonio dell’industriale, esplicitata da battibecchi continui, discussioni, accuse, invettive e sospiri. A. Cirillo, regista e attore della rappresentazione, si definisce una mente malata, un po’ come Feydeau, reinventando un “proprio” Feydeau capace di stupire ancora di più; si colgono facilmente nello spettacolo riferimenti ispirati ad opere cinematografiche come quelle di Kubrik o Bunnel, che contribuiscono a creare sul palcoscenico un mondo lisergico mirato alla derisione della società. Veri protagonisti della commedia potremmo definire i sanitari, i “cessi”, considerati opere d’arte e punti fondamentali dell’ambientazione, affiancati dall’atto del ‘defecare’, costantemente e incessantemente presente, tuttavia mai nominato o esplicitato a parole, decisione dell’autore con l’intento di palesare la ridicola ipocrisia sociale; questi temi nevralgici delle vicende causano un susseguirsi di dialoghi banali, minuziosamente incastrati in un fluente atto unico. L’iperrealismo a cui si arriva grazie all’esasperazione dei punti realistici porta lo spettatore a ridere cattivamente, addirittura quasi in modo sadico, portando la commedia ad avere uno scopo prettamente provocatorio rivolto ai convenzionalismi e all’ipocrisia della società, e tipico del teatro borghese. L’argomento più anticonvenzionale e inusuale guida una danza folle che trascina i poveri personaggi incoscienti in un vortice impazzito ricco di contraddizioni ed esasperazioni dell’ipocrisia di cui ciascuno è schiavo.
Stefania Blasioli, Liceo Classico II A

Ultima modifica ilMercoledì, 10 Aprile 2013 13:27
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