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L'EBREO

Fin troppo vero nella sua crudezza “L’ebreo”di Gianni Clementi.
Uno spettacolo che ci pone davanti alla nostra finitezza di esseri umani.
Un ebreo, proprietario di un negozio di stoffe nel pieno centro di Roma, durante le leggi razziali, è costretto a cedere i propri beni intestandoli ad un suo dipendente come fidato prestanome.
Per ben quindici anni, Marcello Consalvi , (questo il nome del dipendente), e sua moglie Immacolata, condurranno una vita agiata perdendo nel tempo la consapevolezza che quel benessere potesse essere solo transitorio.
All’improvviso questa consapevolezza diventa certezza.
Ed ecco il dramma.
L’ebreo, che busserà improvvisamente alla porta, sarà solo lo spettro di uno stato di indigenza che non intendono più accettare.
Da quel momento sarà solo un fluire di pulsioni animalesche, presenti, allo stato latente, nelle pieghe più recondite dell’animo umano.
Nei due protagonisti (in modo più marcato nella donna) si scatenerà un vero e proprio delirio ossessivo, un’avida follia che li trascinerà al di fuori di qualsiasi collocazione morale o sociale.
Ecco rappresentato l’imbarbarimento dell’essere umano.
Ecco l’uomo che si ritrova “bestione” in quella “età degli dei ” di vichiana memoria.
La figura femminile, in questa rappresentazione teatrale risulta legata allo stereotipo di femme fatale, bella, affascinante, crudele, emblema della passione e dell’istinto. Figura ricorrente nella letteratura occidentale fin dai primordi,come tentatrice sensuale ma distruttiva.
Sarà proprio la protagonista, Immacolata, ad ordire un piano diabolico che trascinerà i due nel buio più profondo della loro psiche.
La recitazione, pur se ad un buon livello, non ha convinto nei suoi momenti di massima tragicità.
Tommaso Di Tonno
Ultima modifica ilMercoledì, 22 Dicembre 2010 10:27
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